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      Home»Iena Ridens » Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male

      Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male

      La Redazione
      30 Lug, 2012
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      cortili apertiAlcuni mi rimproverano di ridurre il mondo a Martano e di rendere ciò che vi accade “invariante antropologica”. Effettivamente a volte eccedo in retorica etnicista, e mi sarà scappato di dire che Martano è la nuova Bisanzio, e ho immaginato straordinarii piani di conquista coloniale contro i comuni vicini (tutta roba sacrosanta!). Sfido chiunque a mantenere la calma con Melpignano nuova capitale del pianeta della Giustizia Socialista e dell’Antropologia Francese, e Calimera che si atteggia ad essere una Little Washington.

      Siccome sono testardo, continuo a credere che nel mio innocente paesello ci sia davvero la possibilità di trarre lezioni sul passato e sul presente che valgano in assoluto. “Non tutti nella capitale sbocciano i fiori del male, qualche assassinio senza pretese abbiamo anche noi in paese”, si cantava. Vi invito, dunque, ad osservare l’umanità ambulante per i Cortili Aperti.

      Conoscendo sommariamente storie (farsa e tragedia su registri mobili e polimorfi) dei miei compaesani, lo spettacolo si fa sontuosamente ridicolo, tenero, straccione e sublime; cangiante come una seppia, vi si scorge l’innocenza di un bambino alla prima comunione e la malizia delle puttane in pensione.

      Non teatri di grandiosi balli, o quinte discrete di salotti intellettuali, o proscenii di potere inquisitoriale, questi palazzi hanno visto sì potere, ma un potere coi denti cariati e gli occhi cisposi. Grandi e piccole vessazioni quotidiane a suon di nerbate e imprecazioni berciate. I “nostri” atrii e i giardini sono modestamente angoli di un altro tempo, memoria di un borgo contadino, che tengono in mostra la sapienza di antichi capomastri, lo spazio organizzato per la raccolta del grano e del tabacco, i pomeriggi assolati a fare il bucato e la lisciva, i conti truccati da avidi e astuti campieri, i giochi dei figli dei signori coi loro compagnucci plebei.

      Gli uni e gli altri, ora cresciuti, ritornano in luoghi vetusti, e si ritrovano completamente riconciliati sulla stessa pietra dove i loro nonni hanno sfruttato da parassiti o faticato come servi della gleba.

      I nipoti e i pronipoti dei signori hanno continuato a coltivare la loro ignoranza come roride orchidee tropicali.

      I nipoti e i pronipoti dei servi hanno studiato e si sono fatti una posizione (paradossalmente continuando a ignorare la data della scoperta dell’America e dello sbarco in Normandia-ma questo non è un dramma).

      La storia potrebbe finire qui. Cessano i contrasti e le ostilità. Democrazia e modernità pareggiano i conti, e ciascuno se la può vedere da sé senza pagare decime a uno scalcagnato e arrogante valvassino.

      Le donne, si sa, sono state spesso motore di storie epiche e gloriose, di solito finite in vacca. Pandora e Fortunata sono i due personaggi in cui le “nostre” protagoniste incrociano i loro profili. L’una è la moglie di Trimalchione, rumorosa e sgraziata padrona di casa che ostenta ricchezza e lusso. L’altra è la compagna di Epimeteo, e portò all’umanità il vaso di dannazione.

      Le mogli dei nipoti e dei pronipoti dei servi, eccoci al punto, emancipatisi nelle libere professioni; le loro mogli, dicevo, sono diventate, a insaputa dei precedenti proprietari e dei mariti nuovi, le vere padrone di quella bellezza barbara e dimessa, le nuove castellane, specchio allucinato dei delirii di un Don Chisciottte, nei giorni in cui è avvenuta l’apertura al pubblico, alla fine di luglio. Come eterne Cenerentole l’incanto è durato poco, ma è durato il tanto che è servito per godersele.

      Il ricordo dello stato di subordinazione feudale è per queste vaiasse molto più recente e cocente. Il fitness forsennato e le diete da lager sono un modo come un altro per non far la fine delle loro madri, sfiancate dalla fatica e dalle fritture quotidiane. Basta guardare nelle loro espressioni affettate, nella smorfia sul volto che accoglieva i (piuttosto che modestamente accompagnarsi ai) parenti “svizzeri” in ferie; bastava osservare il loro sgabbiare vistoso lungo i minuti viali di terra battuta, l’oscillare ipnotico e pericoloso delle borse louis vitton a portata-di-nuca-di-bimbo. E lo sguardo rapace. Uno sguardo allenato a disporre mansioni per la donna a ore per compiere la propria nemesi. Merton la chiama “socializzazione anticipata” e “consiste nell’acquisizione di valori e orientamenti propri di status e di gruppi in cui l’individuo non è ancora impegnato, ma in cui ha probabilità di entrare”. Il fatto è che queste probabilità sono ridotte al lumicino. Dopo la fine della monarchia, l’abolizione dei titoli nobiliari, e due timide riforme agrarie, il sogno di gloria ha due sole chances: l’abusivismo edilizio e l’evasione fiscale. Incrociamo le dita.

      Vinicio De Vito

      Tags : cortili aperti, usi e costumi martanesi, Vinicio De Vito
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