Calimera: giorno della memoria per un ex internato
Se ci fosse un elenco dei Giusti anche per quegli italiani che hanno rischiato la propria vita per salvare connazionali deportati nei campi di concentramento tedeschi, nel corso dell’ultima guerra, ebbene, in questo elenco sarebbe senz’altro presente Brizio Montinaro, soldato di Calimera, prigioniero nel campo di Falkenau.
E’ un nome, insieme a tanti altri cittadini salentini, ignorati dalla storia, ma degni di essere ricordati per le loro coraggiose imprese. Brizio è stato il protagonista di una bella impresa di grande umanità, a rischio della propria vita. Questa mattina, in occasione della Giornata della Memoria, sarà ricordato nel corso di una cerimonia ufficiale, alla presenza del prefetto Giuliana Perrotta, presso la Prefettura. Questa la storia.
L’8 settembre di 70 anni fa il soldato Brizio, nato a Calimera (Le) il 13 ottobre 1912, fu richiamato alle armi il 6 dicembre 1940 per esigenze di carattere eccezionale. Una data che ha segnato profondamente la sua vita. Da Bari salpa per l’Albania il 7 marzo 1941, sbarcando a Durazzo il giorno successivo. Partecipa alle operazioni di guerra greco-albanese, quando improvvisamente, l’11 settembre del ’43 viene fatto prigioniero dai tedeschi, per essersi rifiutato di combattere accanto a loro contro gli Italiani. Viene, perciò, rinchiuso in vagoni-bestiame, insieme ai suoi compagni di sventura e deportato in Germania, precisamente a Falkenau. A soli 31 anni è un prigioniero di guerra. La fame è una costante del posto ed il lavoro un incubo. Deve scendere in miniera a 3000 metri di profondità. Ma, quando una sera, al ritorno dal lavoro, apprende della morte dello chef degli ufficiali tedeschi, si fa coraggio e si dichiara lui stesso un grande cuoco. Ma quegli ufficiali sono scettici ed arroganti: dapprima lo colpiscono con il calcio del fucile e poi lo mettono alla prova, facendogli preparare un pranzo a base di fagiano. Brizio ce la mette tutta, avvalendosi della sua sola esperienza di oste- in estate a San Foca- costituita da qualche frittura di pesce azzurro e la cottura di qualche uovo sodo, giusto per poggiarci un bicchiere di vino dei pescatori, e di contadino, in inverno. Cerca delle erbette approssimativamente aromatiche presenti nel campo e prepara il faggiano alla cacciatora, come lui orgogliosamente raccontava. La sua cucina viene apprezzata dagli ufficiali tedeschi e lì Brizio trova la salvezza, sua e dei compagni di prigionia. A conclusione di ogni giornata di lavoro, mettendo a repentaglio la propria vita qualora venisse sorpreso, nasconde qualche pezzo di carne sotto i carboni o tra la legna, oppure ripone le bucce di patate nello sbuffo del pantalone della divisa allo scopo di alleviare la fame nera di se stesso e i suoi compagni. Sopravvive, così, a quella terribile esperienza. A guerra finita, rientra in Italia. E’ il 26 novembre 1946.
E il ritorno a casa? A piedi, scalzo: non possiede nulla, solo la speranza di riabbracciare i suoi cari. E quando sta per raggiungere Calimera, subito dopo Castrì, vede sul ciglio della strada un vecchio materasso di lana. Gli sembra un miraggio rispetto a quell’inferno vissuto e pensa di appropriarsene caricandolo sulle spalle. Ed è così che i calimeresi lo vedono apparire all’ingresso del paese. A testimoniare la sua coraggiosa storia sonio state le sue due figlie, Maria Roca e Tonia che commentano emozionate: “non abbiamo mai dimenticato nostro padre e siamo in tanti oggi a ricordarlo. Mi risuonano nelle orecchie i tuoi racconti, con una voce fievole, soprattutto negli ultimi anni. Ti sono stati rubati gli anni più belli, ma sei stato un grande eroe, anche se non te ne sei accorto. E noi ne siamo fiere!”.
Fernando Durante