I giovani migliori sono pazzi
Pazzi si nasce o si diventa. Pazzo (da patiens) è colui che patisce, colui che soffre, colui che prova dolore. Dal dolore ogni animale cerca di fuggire e l’uomo non è da meno.
Il dolore può nascere da una sofferenza materiale o psicologica.
Un cane chiuso in un recinto cerca di scappare e quanto maggiore sarà il suo desiderio di evasione tanto più aguzzerà l’ingegno. Se all’inizio cercherà di distruggere la rete che lo imprigiona, presto capirà che la strada è impraticabile e ben presto proverà a costruire un tunnel o di arrampicarsi alla rete o assocerà la serratura all’apertura del cancello e cercherà il modo di adoperarla come fa il padrone.
Un uomo distratto che osserva il cane, e ne considera singolarmente ogni sua azione, potrà ragionevolmente arrivare alla conclusione che il cane è impazzito.
Nel recinto c’è una cuccia che lo protegge dalle intemperie, una ciotola con l’acqua fresca e un’altra con i croccantini, ma il cane continua a infrangersi contro la rete, a scavare delle buche che poi non riempie e ad accanirsi contro un pezzo di ferro, la maniglia, che non è commestibile.
C’è una classe di giovani da Melendugno a Martano da Castrì a Calimera da Soleto a Castrignano che assomiglia molto al cane in questione e che è considerata pazza.
C’è una classe che non vive di personalismi, che dà importanza alla socialità, che crede che la politica si faccia in mezzo ai cittadini, con i cittadini e per i cittadini e che viene considerata pazza.
C’è una classe che non indossa giacca cravatta e spilletta ma cuore, passione e convinzione, senza ambire per forza a una poltrona e che viene considerata pazza.
Questa classe è portatrice d’idee, metodi e approcci che sono espressione di discontinuità netta con il passato. La necessità di discontinuità è insita nella struttura sempre più scientifica della società moderna, per cui la “pazzia” è necessaria. Quello di cui si deve tener conto è la natura paradigmatica della scienza e la consapevolezza che ci troviamo in quella che Kuhn definirebbe come la “fase 4” dell’evoluzione di un modello scientifico ovvero “la crisi del paradigma”. Un paradigma entra in crisi quando le anomalie e quindi le contraddizioni diventano numerose e non possono più essere risolte all’interno del modello.
Le contraddizioni tra lavoro e ambiente, tra solidarietà e profitto, tra produttività e felicità rappresentano il fulcro di questa crisi.
La “crisi del paradigma” porta poi inevitabilmente alla “fase 5” ovvero a una rivoluzione scientifica. Si devono quindi necessariamente abbandonare schemi e credenze della teoria precedente e costruirne una nuova.
Dai pazzi parte lo “slittamento di paradigma” che deriva si da un’analisi razionale, ma soprattutto da una necessità intellettuale, da un disadattamento che si cronicizza.
Essere pazzi non è un atto di disobbedienza retorica, quella disobbedienza che Pasolini vedeva già come creata e manovrata dal potere come contraddizione a se stesso, come garanzia di modernità necessaria al consumo, ma è un atto di disobbedienza reale.
Essere pazzi significa mettere il dubbio al centro della propria vita spodestando la certezza figlia della presunzione.
Essere pazzi significa riappropriarsi della complessità della realtà evitando slogan e quindi semplificazioni.
E’ necessario abbandonare le logiche del l’impegno come vettore di arrivismo socio-economico per cui in nome del potere, degli interessi, o della vanità personale si sacrificano le idee.
Essere pazzi significa essere consapevoli che non è la ragione a muovere il mondo ma la passione e credere come diceva Martin Luther King che “La salvezza dell’uomo è nei disadattati creativi”.
I giovani migliori sono pazzi e bisognerebbe prenderne atto con felicità.
Alberto Santoro