IL DELICATO EQUILIBRIO TRA IL DIRITTO DI CRONACA ED IL REATO DI DIFFAMAZIONE A MEZZO STAMPA
Con la diffusione dei mezzi di comunicazione, in particolar modo di internet, si pone il problema di individuare il ruolo ed i limiti dell’informazione potenzialmente lesiva dell’altrui reputazione, al fine di contemperare i diritti del singolo con l’esigenza della diffusione di notizie di interesse pubblico. La diffamazione a mezzo stampa rappresenta un’ipotesi di reato a tutela dell’altrui reputazione (artt. 595 e ss. c.p.), ma anche un illecito civile, che impone al responsabile del fatto l’obbligo di risarcire il danno.
Ma vediamo cosa dice il codice penale. Ai sensi dell’art. 595 c.p., “chiunque comunicando con più persone offende l’altrui reputazione, è punito con la reclusione sino ad un anno o con la multa fino ad € 1.032,00”. Ed inoltre aggiunge l’articolo “se l’offesa è arrecata col mezzo della stampa, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni”. Quindi trattasi di circostanza aggravante del reato. E’ evidente che sino a che i fatti raccontati per mezzo della stampa sono il corretto esercizio del diritto di cronaca, non siamo nell’ambito del reato di diffamazione. L’interesse della collettività ad essere informata su determinati fatti è considerato quindi prioritario rispetto alla necessità del singolo individuo a difendere la propria reputazione. Ma l’esercizio del diritto di cronaca può essere del tutto libero ed arbitrario? Evidentemente no. In altri termini, se l’articolo rappresenta l’esercizio del diritto di cronaca, non può configurarsi il reato di diffamazione a mezzo stampa, anche se lesivo dell’altrui reputazione.
Se invece l’articolo diffamatorio rappresenta esclusivamente un mezzo per ledere l’altrui reputazione, allora l’autore di esso dovrà rispondere del reato di diffamazione, nella forma aggravata. Per approfondire meglio questa tematica possiamo analizzare qualche sentenza della Corte di Cassazione. Per consolidata giurisprudenza della Corte, i requisiti del diritto di cronaca, necessari per poter escludere la punibilità di cui all’art. 595 c.p. sono i seguenti: 1. utilità sociale dell’informazione; 2) verità dei fatti esposti (oggettiva, cioè ben documentata o frutto di un serio lavoro di ricerca); 3. forma civile dell’esposizione, cioè non eccedente rispetto allo scopo da perseguire, improntata a serena obiettività.
Per utilità sociale dell’informazione s’intende l’attitudine di una notizia a soddisfare un’oggettiva esigenza di informazione pubblica, che non può essere confusa con la pura curiosità che il lettore può nutrire. Ancor peggio se lo strumento della stampa è utilizzato con finalità ritorsiva o per puro risentimento nei confronti di un funzionario, avverso un provvedimento da questi legittimamente adottato.
Per parlare di legittimo esercizio del diritto di cronaca è necessario essere in presenza di un fatto che susciti un interesse pubblico. E che quindi merita di essere portato a conoscenza della collettività mediante un’esposizione civile ed obiettiva dei fatti.
Altro aspetto rilevante per configurare l’elemento della verità, dicevamo, è la completezza dei fatti riportati. La notizia non deve essere travisata né possono essere omessi fatti rilevanti al solo scopo di orientare il giudizio del lettore.
Ora uscendo da considerazioni di natura accademica, possiamo citare a titolo di esempio, quale narrazione oggettiva dei fatti, il libro di Roberto Saviano, “Gomorra”.
In 331 pagine di racconto, Saviano, riesce a raccontare con dovizia di particolari, ma in maniera incredibilmente oggettiva, fatti e personaggi di una delle organizzazioni criminali più temute, senza correre mai il rischio di rientrare in questa ipotesi di reato.
E’ una questione di stile, ma anche e soprattutto di amore per la verità.
E noi cogliamo l’occasione, in queste poche righe per ringraziarlo per il coraggio e per la dimostrazione che egli continua a darci attraverso la “forza della parola” usata per difendere la legalità e combattere ogni forma di violenza e di sopruso!
Dott. Mino Durante – C.te P.M.